sabato 28 luglio 2012

Per fortuna che c'e' il Leonardo Tondelli

E dunque il nuovo numero della prestigiosa rivista Economist e' dedicato alla stato di salute dell'ebraismo, oggi. Cinque anni fa era stato  un numero speciale dedicato ad Israele, pieno di fosche previsioni, tipo  la catastrofe demografica, che come vedete non si sono avverate. Oggi quelli dell'Economist si sono accorti che quasi meta' della popolazione ebraica vive in Israele e che ci sta pure bene: in una famosa ricerca sulla qualita' della vita commissionata dall'ONU Israele e' figurato ai primi posti, meglio di molti Paesi europei. La meta' degli ebrei del pianeta Terra, quelli che non vivono in Israele, ci si sentono comunque legati e ricevono comunque i benefici dell'esistenza di quello Stato. Dopo un paio di millenni senza un luogo in cui rifugiarsi, c'e' sollievo nel sapere che da qualche parte al mondo sei parte di una maggioranza e che se gli altri Stati rifiutano di catturare i tuoi persecutori, c'e' qualcuno che lo fara'. Da' un senso di sicurezza.

Lo speciale di Economist e' interessante anche perche' dedica molto spazio alla rinascita culturale dell'ebraismo di oggi, che e' poi secondo me la vera novita' di questi ultimi decenni. Il primo esempio di questa rinascita e' Limmud, migliaia di ebrei lontani dalla dimensione religiosa che fanno la fila per studiare e discutere i testi della tradizione ebraica.

Quelle che una generazione fa venivano viste come pratiche superstiziose e arcaiche, adesso sono rivendicate da numeri crescenti di ebrei, assieme al diritto di interpretare e praticare a modo proprio. Prendete per esempio l'uso di indossare tallet e tefillin durante le preghiere. Tradizionalmente lo praticavano solo gli uomini ortodossi. Adesso lo fanno in tanti, e tante.


Non e' solo una faccenda di abbigliamento. Perche' tallet e tefillin sono oggetti sacri, la cui pratica e' stata proibita alle donne da una serie di testi e dalle loro interpretazioni. Le donne che decidono di indossarli operano un loro interpretazione degli stessi testi e sono pronte a discuterne con chi sostiene altro. Studio e interpretazione che avvengono (anche) in contesti come Limmud

Nel secolo scorso, i sionisti socialisti sostenevano che la religione ebraica fosse solo una sovrastruttura, mantenuta in piedi dalla condizione di anormalita' in cui vivevano gli ebrei, un popolo senza patria. Con la nascita dello Stato di Israele, pensavano, sarebbe scomparsa anche questa Patria immaginaria che era la religione, con una propria arcaica e medievale struttuira giuridica. Si sbagliavano. E' avvenuta invece una democratizzazione della stessa religione. 

Forse c'entrano qualcosa anche i famosi nuovi media. Prendete per esempio lo studio del Talmud, una volta patrimonio solo di osservanti ortodossi e di qualche accademico. Studiare il Talmud da soli e' durissimo, occorre spesso ricreare le discussioni ed il contesto comunitario in cui e' nato. Per questo attualmente esistono invece forum, blog e gruppi di discussione dedicati allo studio del Talmud e di altri testi rabbinici. Ci sono lezioni su YouTube, e va da se' che sono aperte a tutti. Il primo Daf Yomi, un programma di studio del Talmud al ritmo di una pagina al giorno (ci si mette sette anni),  prese il via nel 1923 ed era riservato agli allievi delle yeshivot lituane. Negli ultimi due o tre cicli e' cresciuto il numero di donne, o di persone non osservanti, dichiaratamente atei, che partecipavano allo studio ed alla discussione. 

Il 3 agosto iniziera' il dodicesimo ciclo, che ha gia' dato il via a imprese editoriali di ampio respiro, con edizioni del Talmud con tanto di traduzione, scaricabili sullo Ipad. E un fiorire di gruppi di discussione, blog e mailing lists.

Certo, potere partecipare anche se non siete ebrei, basta conoscere un po' di ebraico. Molte delle fregnacce che si leggono ancora a proposito del Talmud, potrebbero scomparire una volta che certi passi verranno messi nel loro contesto: ma forse e' meglio non farsi troppe illusioni, certe frange sentiranno sempre il bisogno di scaricare sugli ebrei le ragioni dei propri fallimenti. 

Il punto e' che il carattere principale del mondo ebraico, oggi, e' quel pluralismo cui sono dedicate molte pagine di questo numero dell'Economist. Che ha anche una bella bibliografia alla fine, il che e' un vantaggio: l'Economist infatti arriva anche in Paesi in cui di ebrei non ce ne sono, e quel che si sente e si legge degli ebrei e' la solita monnezza propagandistica. 

Tra i tanti fattori che hanno portato a questo pluralismo, non va sottovalutata la fine del comunismo in URSS e la conseguente ri-emancipazione degli ebrei ex-sovietici. Sono immigrati a milioni in Israele, altri in USA, altri ancora hanno rivitalizzato la vita ebraica in Germania. Il loro rapporto con la tradizione ebraica e' molto libero, privo di soggezione verso le ristrettezze della ortodossia. E hanno ottime ragioni per diffidare di ogni posizione ideologica che sappia di comunismo, anche da lontano. Il progetto sionista socialista prevedeva inoltre che ogni comunita' immigrata in Israele mettesse da parte la propria identita' sviluppata nella Diaspora, per sostituirla con l'ebreo nuovo, socialista per definizione. E' successo per esempio, agli ebrei yemeniti, arrivati in Israele negli anni Cinquanta, che sono passati da una societa' patriarcale a una egalitaria.















Gli ebrei russi, arrivati in Israele negli anni Novanta, non sono passati attraverso questo percorso, anche perche' il sionismo socialista era -per usare un eufemismo- molto meno popolare. E cosi' Israele, come tutto il mondo dagli anni Novanta in poi, ha scoperto di essere una societa' multiculturale, tant'e' che anche gli ebrei etiopi, arrivati piu' o meno nello stesso periodo, mantengono le proprie festivita', che sono anche parte del calendario dello Stato. 

Ma se stanno cosi' le cose, ovvero che Israele e' alive e pluralista e l'ebraismo e' pluralista e kicking, e lo dice pure l'Economist, come mai c'e' chi continua a sproloquiare  degli ebrei di oggi come dei cupi paranoici, la cui unica occupazione sarebbe denunciare e criminalizzare i critici di Israele?  Tipo... 
... Sai che qualsiasi genitore dei miei studenti può guglarmi nome e cognome e scoprire che io plaudo a questo o quel massacro, e tante altre sciocchezze che Z. scrive su di me? Sai che c'è gente che si è trovata gli ispettori per casi simili? [Leonardo Tondelli]

O anche della sicure fine dello Stato ebraico, schiacciato da una maggioranza araba? Tipo...

la mia opinione (semplice) è che Israele nel lungo termine abbia perso la guerra demografica: nasceranno sempre più arabi degli ebrei, man mano anche il rubinetto dell'immigrazione russa (su cui ci sarebbe parecchio da dire) si estinguerà, e gli ebrei rischieranno di trovarsi minoranza nel loro focolare. [Leonardo Tondelli, ancora lui]
Ecco, io una idea ce la ho. E no, non c'entra Fanfani, se non come caso limite di cattolicesimo particolarmente aggressivo e in posizione difensiva. 

In breve, c'e' chi pensa che l'esistenza di Israele sia un torto che deve essere riparato, cancellando lo stesso Stato e sostituendolo con uno in cui gli ebrei ritornino ad essere minoranza. Il che avrebbe l'effetto collaterale di rendere gli ebrei, di nuovo, ovunque, piu' deboli. Privi di un luogo in cui la loro cultura, sempre piu' pluralista, sia quella della maggioranza.

Questo scenario e' dato per scontato dal prof. Tondelli,  stando a quel che si legge nel suo blog e che ho riportato sopra. E poco importa che quella cattivona della realta' gli ripeta che si tratta, appunto solo delle sue meschine aspirazioni. Lui alla catastrofe demografica ci crede, magari perche' gli sembra il modo giusto di porre rimedio a una ingiustizia storica che si perpetua con la esistenza della Legge del Ritorno. O solo perche' ha un attaccamento morboso a una visione della storia in cui gli ebrei sono solo vittime. Non provate a convincerlo del contrario. Sarebbe come cercare di cambiare delle convizioni religiose, basate su emozioni e fantasie, attraverso la discussione razionale e basata sui fatti

Lo stesso esimio professore, infatti, vive nel terrore di venire "guggolato" dai genitori degli allievi e trovarsi cosi' "gli ispettori" in classe. Anche qui, abbiamo a che fare con le fantasie e non con i dati di fatto. Chissa' cosa possono scoprire, questi ispettori?  Probabilmente potran leggere quel che il Tondelli  ha scritto sui bimbi israeliani che possono un giorno diventare Sharon e sulle ragioni di chi li fa saltare per aria. O magari no; ma certo il Tondelli ritiene che basti la accusa di antisemitismo da cui, notate, uno nemmeno sa come difendersi per distruggere la carriera di qualcuno e magari la vita. Quando e come sarebbe successo qualcosa del genere, in Italia, non si sa. Ma sapete come e', c'e' di mezzo il Mossad, e il Mossad nasconde le prove.  

E' perfettamente inutile che chiediate al prof. Tondelli di fare i nomi di questi martiri della lotta contro la tribu' dei nasi adunchi. La sua convinzione e' di carattere religioso, non servono prove. Per condividere la sua convizione, occorre credere che gli ebrei abbiano troppo potere. Che renderli piu' deboli, e rendere la accusa di antisemitismo inoffensiva, sia un atto di giustizia.

Il fatto e' che, sapete, gli israeliani giocano sporco. "Ci sarebbe per esempio molto da dire sulla immigrazione russa"... Lo dice Leonardo, eh, come vedete sopra. Che chissa' poi cosa c'e' da dire sulla immigrazione russa. Leonardo non lo dice. Secondo me per paura degli ispettori.



mercoledì 25 luglio 2012

Sapevate che l'URSS di Brezhnev era il paradiso per la classe operaia? Che Nathan Sharansky ha lavorato per la CIA? Che a Cuba non si sono mai praticate torture? Che ogni tentativo di contare i morti causati dalla politica di Stalin fa il gioco dei nazisti? I quali nazisti peraltro sono delle brave persone quando si oppongono alla politica genocida di [avete indovinato] Israele?

Probabilmente sapete che quanto sopra e' una fila di fregnacce. Ma e' pubblicando  questo genere di fregnacce dalle colonne di Counterpunch [http://www.counterpunch.org/] che Alexander Cockbun si e' mantenuto la reputazione.

Per vostra informazione Counterpunch e' la influente pubblicazione, on line e cartacea, su cui Gilad Atzmon pubblica i suoi articoli -parlando della carica profetica dei Protocolli dei Savi di Sion, accanto a articoli di negazionisti della Shoa ed apologeti dei Talibani. Non sono idee di Cockburn: lui ci ha messo solo lo spazio a disposizione. Pero' ha pubblicato articoli sul controllo ebraico dei media USA, e quindi dell'opinione pubblica mondiale, ed appoggiato con entusiasmo il massacro dei giovani iraniani. Trovate tutto qui

La reputazione, dicevo, Cockburn se la e' mantenuta. La aveva ereditata dal padre, Claude, aristocratico britannico entrato in diplomazia e fervente comunista. Claude Cockburn ha combattuto da comunista nella Guerra Civile Spagnola. Ma non al fronte: lui diceva che si era occupato di controspionaggio. Vantava anche buone relazioni con Koltsov, corrispondente della Pravda. Che nel 1936 poteva trionfalmente scrivere che «in Catalogna l'epurazione dei trotzkisti e degli anarco-sindacalisti è già iniziata, viene condotta con la stessa energia usata in Unione Sovietica».

Il numero di leader anarchici uccisi dagli sgherri di Stalin, in teoria alleati, comprende Buenaventura Durruti, Camillo Berneri Heins Beimler. Il resto, la vittoria di Franco e dei clerico-fascisti, e' storia, di cui molti comunisti, giustamente, si vergognano. Non Alexander Cockburn, pero', che nel settantesimo anniversario della Guerra Civile Spagnola pubblico' su Counterpunch un articolo in cui attribuiva agli anarchici la morte di Durruti. 

Alexander Cockburn, scrive Marco d'Eramo sul Manifesto, era un amico del medesimo giornale. Era un "raffinato intellettuale cosmopolita", aveva una "bella voce da baritono russo" con un accento "oxfordiano-yankee". D'Eramo butta li' anche qualcuno dei nomi dei collaboratori di Counterpunch, evitando di includere antisemiti dichiarati come Israel Shamir o  negazionisti della Shoa come Eric Walburg. Il padre Claude era, naturalmente, "un brillante giornalista".

Questa e' l'idea di "brillante giornalismo" che si coltiva dalle parti del Manifesto; vai un po' a sapere come mai rischiano di chiudere.

giovedì 12 luglio 2012

Il Cornish Pasty e' un fagottino ripieno di carne, patate, cipolle, formaggio ecc. E' il piatto tipico della Cornovaglia. Si tiene agevolmente con le mani, tenendolo per la spessa crosta, che ne occupa la parte superiore.

La Cornovaglia e' la parte sud occidentale dell'Inghilterra. Bellissime vedute marine, per i turisti di oggi.  La risorsa economica principale e' stata per molto tempo l'estrazione del piombo, che e' andata declinando fino a scomparire negli anni Novanta. Oggi e' una delle regioni piu' povere.

Il Cornish Pasty era il pasto del minatore.  All'imboccatura delle miniere veniva spesso costruito un forno apposito.  Siccome le mani dei minatori erano sporche di arsenico, non potevano certo mettersi in bocca la parte contaminata, e da qui la spessa crosta del Cornish Pasty.

Terminata la pausa pasto, la crosta veniva gettata nelle miniera, per placare i folletti e gli elfi che vi vivevano dentro. Il mestiere del minatore e' duro. Specie se lavori con l'arsenico.

Io amo questa storia: e' un affascinante sovrapposizione di modernita' e arcaismo, di quelle che fanno pensare. La Cornovaglia e' infatti oggi ossessionata da una propria identita' nazionale. C'e' una riscoperta, o una invenzione, della lingua - gli studiosi non riescono a mettersi d'accordo sulla data della scomparsa della lingua locale. C'e' chi sostiene che l'ultima parlante sia morta alla fine del XVII secolo, c'e' chi dice che la lingua era ancora viva nel XX secolo, in Canada e Nuova Zelanda. Ci sono movimenti independentisti, in conflitto con Londra, che reclamano un legame con la nazione celtica, e abbiamo quindi il curioso caso di un movimento indipendentista che cerca di avere buoni rapporti con l'Europa. 

Quando sono iniziati i trionfi della Lega, a sinistra e' stato tutto un chiedersi perche'. Una delle spiegazioni piu' idiote, ma ripetute lungamente fino a essere creduta da un numero spropositato di persone intelligenti, era la seguente. Il comunismo e' finito, e le masse hanno bisogno di una identita', di sentirsi parte di una collettivita'. Alle Feste dell'Unita' si sostiuivano quelle della Padania, ma l'odore delle salamelle era lo stesso. Dall'altra parte dell'Adriatico andava in frantumi la Yugoslavia, emergevano le identita' nazionali, e qualcosa del genere stava succedendo in Padania.

Cazzate autoconsolatorie. Rese ancora piu' insopportabili perche' parlavano non al cervello ma alla nostalgia delle Feste dell'Unita' (ma li si vedeva solo nell'angolo dibattiti) e delle vacanze in Yugoslavia.  Sono cazzate a cui ho creduto anche io, beninteso. C'era la parola magica, globalizzazione, che dava un colore di serieta' a questo ragionamento bislacco.

Volete sapere le origini della Lega? Della diffidenza lombarda per lo Stato centrale? Aprite Manzoni, "I Promessi Sposi", capitolo XV. Parla il capitano degli sbirri: "Siamo in ballo; bisogna ballare. Malannaggia la furia! Maledetto il mestiere!".  Siamo prima di Sciascia e il poliziotto e' gia' un terun. O almeno parla come tale. 

Andiamo alle origini del ragionamento bislacco de cuius. Ogni volta che ci penso, mi viene in mente il Sapientino: avete presente quel giocattolo per bimbi intelligenti, in cui se colleghi le due immagini giuste, senti una vocina che ti fa i complimenti? La griglia resta la medesima, cambiano solo i fogli che vi sovrapponi. Possono variare le immagini, ma la posizione resta quella, e se la azzecchi senti la vocina che dice "Bravo!".

E  mi chiedo,  chi puo' sentirsi gratificato nel fare questi bislacchi paragoni tra Italia e Yugoslavia? E la risposta e' facile: sono quelli a cui dispiace che l'identita' italiana (o yugoslava) ceda il passo a quella padana (o serba, croata ecc.). Io mi collocavo, e mi colloco, tra costoro. Ero uno storico, mi guadagnavo cioe' il pane, lavorando all'interno di una istituzione, l'Universita'. Lo scopo delle facolta' umanistiche e' formare degli insegnanti, cioe' gente che va a lavorare per creare una identita' nazionale. Per insegnare la lingua italiana, e non quella inglese, per esempio. La letteratura italiana -Manzoni- e non quella francese. 

Per questo l'insegnante, in qualsiasi grado di scuola, che dice di non credere alle identita' e' un personaggio ridicolo, e surreale come una poesia di Mario Marenco. Specie se, come e' il caso del mio affezionatissimo lettore, racconta di non averne del tutto, di identita'. Che lui si sente solo un cittadino del mondo, appartenente alla razza umana, e ha solo un lieve disgusto per il Partito Radicale, gli ebrei i sionisti e i froci militanti gay, non necessariamente in questo ordine. Che insomma, queste politiche identitarie in difesa di minoranza privilegiate (gay ed ebrei) hanno rotto davvero le scatole ai piccoli borghesi compagni come lui. In realta' lui con la costruzione delle identita' si cava da vivere, ma non lo sa; o rifiuta di saperlo. E' proprio come il pesciolino che non puo' capire la formula dell'acqua, perche' ci vive dentro. 

Ma si trova con altri come lui, che affettano lo stesso disprezzo per le masse bisognose di identita' e di simboli, che lui naturalmente irride, guardandole con disprezzo dall'alto verso il basso. Ah, come si sente intellettualmente superiore. E Sapientino gli fa di nuovo i complimenti. Devono essere soddisfazioni. 

Come ripeto, a queste cazzate ho creduto anche io. Ma non ho mai pensato che le identita' fossero mutualmente esclusive. Ogni essere umano e' una costellazione di identita', una serie di diverse risposte, non necessariamente in contraddizione, alla domanda: Chi sono io?   o anche: In quale epoca vivo io?  I minatori della Cornovaglia vivevano in un mondo moderno, ma popolato da folletti. Probabilmente i loro figli e nipoti di oggi sentono di avere una identita' celtica ed una inglese, accanto ad una europea. Non riesco a vedere alcun progresso se qualcuno chiede di cancellare questa pluralita' e sostituirci una astratta idea di cittadinanza universale.

venerdì 6 luglio 2012

Ora vi racconto una storia. La storia di una bella signora tedesca, una poetessa figlia di soppravvissuti alla Shoah, che per anni ha curato la propria madre di cui ricorda benissimo quel numero tatuato sul braccio. Poi e' anche emigrata in Israele, ha fatto alya, ha servito nell'esercito israeliano e ha visto cose atroci durante la guerra in Libano.
E ha poi raccontato l'orrore della guerra, e la barbarie di questo esercito ebraico, in versi veementi e sdegnati. "Ascolta, o Israele, i guerrieri nel tuo esercito sono i nazisti tra gli ebrei". 

Vi emoziona la storia letta qua sopra? Ecco, il primo paragrafo e' una balla. Vi presento Irene Wachendorff, figlia di un ufficiale della Wermacht. Una tizia che si e' inventata una origine ebraica pensando di guadagnare chissa' quali quarti di nobilta' nella sua campagna contro Israele. Ora e' stata scoperta: una giornalista si e' ricordata di aver assistito a una lettura pubblica delle sue poesie nel 1982; che era il periodo nel quale la Irena Wachendorff millantava di essere stata in Libano. E' seguita la ammissione di aver detto balle ("c'era qualcosa sul braccio di mia mamma, ma non ricordo cosa"). Adesso ha cancellato la sua pagina facebook, e non risponde alle mail ne' alle telefonate. Per cui non sapremo mai se contarla o meno all'interno degli eroici israeliani obiettori, che tanto scalda il cu [ecc.] del buon alessandromeis e -ovviamente- di Leonardo. Che poi, chissa' se lui e .mau. credono davvero a queste storie di ex persecutori di ebrei che sposano donne ebree.

Insomma, la Irene W-eccetera non solo ha detto una balla, ma non e' stata nemmeno capace di dirla bene. Notare, che mica e' la sola, ad inventarsi questo passato Avevo gia' parlato di Gabriel Schivone. All'elenco aggiungiamo anche Edith Lutz, una militante tedesca che si era imbarcata sulla Freedom Flottilla.  Gente che pensa di rendere piu' valide le proprie argomentazioni truccandosi l'albero genealogico con qualche elemento di razza ebraica. E che poi urla che il resto del mondo ebraico sarebbe razzista. 

Fatti curare, Azzajew

Amo poco l'espressione self-hating Jews. Intendiamoci: esistono, vorrei quasi dire che sono sempre esistiti ebrei che odiano se' stessi. Ebrei antisemiti, che ritengono -come da dogma antisemita- che l'influenza ebraica nella storia, e nelle loro vite, sia sempre negativa e maligna, quindi troppa. Che il mondo sarebbe un posto migliore se ci fossero meno ebrei. Uno famoso era Otto Weininger, che spinse il proprio odio di se' fino a suicidarsi, dopo aver scritto un libro  delirante e misogino sulle perversioni sessuali. Avete presente la teoria secondo cui le donne sono passive e sentimentali, perche' hanno organi genitali invisibili? Ecco, roba di quel genere.

Self-hating  e' una espressione che e' tornata di moda, per definire gli ebrei critici di Israele. E a me non piace, come ho detto sopra, perche' non viviamo piu' nei tempi cupi di Otto Weininger (1880-1903). Non credo ci sia odio di se' a motivare gli attuali critici ebrei di Israele ed oppositori del sionismo in quanto ebrei: preferisco chiamarli, come fa Howard Jacobson, gli azzajews. Piuttosto hanno una opinione di se' galatticamente alta, ostentando un senso morale che proverrebbe dai loro cromosomi diasporici. I quali cromosomi danno agli azzajews l'accesso (loro credono) a una specie di pulpito. Salgono lassu' e iniziano il loro sermone: "In quanto ebreo" As a Jew, Azzajew, appunto. E via con la denuncia dei crimini di Israele, del governo di Israele, dello Stato di Israele e via via escalando di tutti gli ebrei. Quelli normali, che continuano a mandare soldi in Israele e sempre piu' sovente pure i figli. Ma gli azzajews no: perche' il piu' delle volte gli azzajews non hanno figli ebrei, nel senso che sono poco interessati a dare loro una educazione ebraica, a metterli in contatto con altri ebrei, p. es. 

Si potrebbe speculare lungamente su questo tipo di ebrei che non trasmette alcun ebraismo alle generazioni successive; magari esprimono una qualche forma di odio di se'. Soprattutto quando presentano se' stessi agli altri ebrei come modello di integrita', e quindi da imitare. Ma e' anche vero che se la maggioranza degli ebrei iniziasse a comportarsi come loro, collaborando fattivamente all'indebolimento e alla scomparsa delle successive generazioni di ebrei, questi azzajews si troverebbero senza un nemico con cui misurarsi. Senza qualcuno contro cui puntare il ditino per dire "lui e' cattivo" e apprire, quindi sentirsi quelli buoni. E poi, ripeto, l'espressione self hating continua a ricordarmi pagine nere di storia che grazie a Dio non stanno ritornando. Anche e perche' adesso c'e' uno Stato ebraico, che e' poi la principale differenza, da un punto di vista ebraico, tra i tempi di Weininger e i nostri.

Una parte essenziale della retorica degli azzajews sta nella denuncia del controllo sionista dei media, o nella lamentela di venire emarginati e silenziati. Lamentela che, letta nella sezione Comment Is Free del Guardian fa oggettivamente un po' ridere; e il riso diventa irrefrenabile se poi uno pensa a quanta e quale risonanza ha, per dire, il nome di Noam Chomsky, che degli azzajews e' una specie di patriarca. 

OK, detto tutto questo, voi come la leggete la storia di cui racconta Mondoweiss?  Perche' qui credo proprio che siamo in presenza di un caso di odio di se' a livelli di masochismo. Prima chiariamo che roba del genere se ne trova a bizzeffe su Mondoweiss, che  e' una specie di hub dell' antisionismo antisemitismo on line, ci trovate un intero catalogo aggiornato delle cazzate sull'argomento. Non linko quel blog, ma il post dovete andare a vederlo [http://mondoweiss.net/2012/07/the-therapist-blurts.html]

In breve, questa e' la storia di un azzajew ha un tale odio per lo Stato di Israele, da cercare di persuadere  persino il suo psicoanalista. Ora, le sedute dallo psicoanalista si pagano, quindi questo tizio ha sborsato dei soldi perche' uno specialista potesse ascoltare le sue fantasie. E fin qui nulla di strano. Ma nella sua fantasia era pure convinto di essere capace di reclutare qualcuno. E qui secondo me e' strano parecchio.

Seguiamo per esempio il suo colloquio con lo psicoanalista: 
"I emphasized by way of introduction to myself, that Palestine solidarity was a big part of my life"
Immaginatevi il colloquio: "Salve dottore. Vorrei entrare in terapia. Mi chiamo Moishe Pupik, [lo chiamo cosi' per rispetto della privacy] e sono solidale con il popolo palestinese". Ecco, io non credo che il terapeuta abbia pensato a Otto Weininger. Piuttosto, cortesemente, avra' voluto sapere come mai quella causa e non altre:
"He immediately shot back "Why not Syria or Saudi Arabia or Iran?".
Ovviamente in questi casi, il nostro Moishe Pipik non si aspetta delle risposte, no. Si aspetta che qualcuno shot back, che significa anche sparare. La Palestinian solidarity porta a queste aspettative; sai, sei sul confine, vicino al muro dell'apartheid, in zona diciamo borderline... 

E ovviamente il cuore del tizio solidale con la Palestina non puo' che sank. Ma mantiene la calma e risponde chiedendo al terapista
"if he had an opinion on the matter"
Se ve lo siete dimenticati, lo ripeto: si tratta di un colloquio con un terapista. In cui il paziente chiede al dottore "Ma lei come la pensa sul Medio Oriente?" E non e' una barzelletta.

Comunque il terapista e' bravo, perche' riesce ad avere gia' a questo punto un resoconto autobiografico del paziente, e siamo solo alla prima seduta. Il signor Azzajew [rispettiamo la privacy, via] gli spiega che 
"because of my studies I had become involved, and once you know what is happening there is no turning back - it is such a powerful moral struggle against Israel's efforts to deflect criticism, and the impunity afforded to the state by the West, not least my country."
Anche se non siete mai stati da un terapista, le parole impunity e powerfull dovrebbero dirvi qualcosa.  Abbiamo a che fare con  uno studente che invece di studiare si' da' alla militanza (e i genitori, presumibilmente, pagano: a proposito di chi ha il potere). Ma ecco che il paziente si rende conto di aver forse rivelato un po' troppo di se, e scatta in difesa:
"I admitted that I am used to the kind of response he made from Zionists at protests, and it made me anxious".
 E immediatamente dopo la difesa, ecco l'attacco:
"I asked once more if he had an opinion on this subject."
Che tradotto fa: "Ehi dottore, non mi hai detto come la pensi!". Insomma, il nostro Azzajew si sente turlupinato, e allora torna sul pulpito a cui e' abituato. E prosegue la filippica, ad uso dei lettori:
"He again attempted to justify his question"
Carino, il lapsus. Il paziente ha scoperto che il terapeuta cerca di giustificarsi. C'e' forse qualche confusione a proposito di chi cura che cosa in chi, ma a questo punto Mr Azzajew, o forse Moishe Pipik, si e' dimenticato chi paga chi (io sospetto che la terapia gliela paghino i genitori, comunque...). E continua:
"I pressed him and cautiously he began to state his position [...] Nervous by now, he delicately tried to defend himself".
Lui pressed, e il terapista diventa nervous. A proposito di powerful moral struggle. Una struggle che vediamo bene come finisce: mr Azzajew si da' alla fuga ed infatti fa sapere ai lettori di Mondoweiss che cerchera' un altro terapeuta. Racconta infatti l'esperienza su Mondoweiss, senza timore di apparire ridicolo, e la redazione di Mondoweiss giochera' volentieri il ruolo di psicoterapeuta di sostegno. Non sappiamo fino a che punto questo lavoro sia svolto gratuitamente, dal momento che Weiss ha lavorato per  uno dei think thanks a sinistra del Partito Democratico, il Nation Institute. Pero' voi riconoscerete che per un Azzajew e' infinitamente gratificante raccontare del suo incontro con uno psicoanalista come se fosse un momento di militanza. E non trova alcun altro posto in cui raccontarlo, che non sia, appunto, Mondoweiss. Buon lavoro al prossimo dottore.

In semi-conclusione, forse dovrei spiegare come la penso sulla psicoanalisi. Saro' breve. Ho una grande stima della psicoanalisi come strumento di critica culturale, come avranno capito quei lettori che mi hanno visto citare Christopher Lasch che e' e resta uno degli autori da cui ho  imparato di piu'. A livello personale, come richiesto a tutti gli apprendisti rabbini che passano per le istituzioni piu' prestigiose, io mi sono fatto il mio percorso analitico. Non solo, ho pure seguito un corso di Pastoral Skills presso il quartier generale di una corrente psicoanalitica. Non posso dire come sarei ora se non avessi intrapreso quel percorso. Ma credo di averne enormemente beneficiato e voto in favore del mantenimento di quella parte del curriculum, che mi dicono e' richiesta anche a chi svolge simili professioni in altre confessioni religiose.

E per concludere davvero, credo ci sia qualcosa di psicologicamente significativo nel comportamento di questo tale (indovinate un po' di chi si sta parlando) che prima risponde ai miei post e poi li cancella, di modo che sul suo amato blog lui adesso legge soltanto se' stesso che predica al muro e chiede il CV al nulla. E magari pensa che per i lettori sia una faccenda interessante.

Oh, io cortesemente lo saluto. In caso, come credo, che sia arrivato a leggere fino a qua.





martedì 3 luglio 2012

Risposta ad alessandromeis

Oh, finalmente si fa vivo qualcuno che sembra conoscere le posizioni di Leonardo, meglio di lui. Le argomentazioni non sono granche' e non ci vorra' molta fatica per smontarle. Ma prima sgombriamo il campo dagli equivoci.

Io so benissimo che ci sono persone che non sono d'accordo con me, e proprio per questo prendo sul serio le opinioni di Leonardo. Mi sembra infatti che lui abbia gia' espresso una condanna piuttosto decisa delle Legge del Ritorno; la sua condanna e' basata sulla confusione di questa legge con la politica migratoria, cioe' e' una condanna che non sta in piedi. Questa condanna e' pero' in piena sintonia con quella dei movimenti terroristi palestinesi, che la definiscono razzista. Ora Leonardo di ebraismo capisce poco e non si puo' escludere che sia cosi' somaro da sproloquiare di religione razzista. Ma certamente ritiene che la Legge del Ritorno serva a tutelare un qualche predominio. Una opinione che gli islamisti sottoscrivono. Sicche' gli chiedevo se la sua sintonia si spinge fino ad appoggiare le azioni degli islamisti in Europa. Metto in conto, come si vede, che Leonardo possa essere in disaccordo con me. Questo dovrebbe calmare le allusioni su incidenti, parti opposte ecc. ecc.

E ora vediamo il "discorso piu' ampio" del buon Leonardo. Tanto per cominciare non e' affatto vero che l'unico modo per "combattere per l'indipendenza" dalle parti di Gaza, sia andare a farsi esplodere, come scrive lui. Si possono scegliere altre forme di militanza, ed in effetti quelli che vanno (o meglio, andavano - visto che la strategia si poteva cambiare?) a farsi esplodere, erano gli aderenti ad uno solo dei molti gruppi. Quanto alle motivazioni, quelle poche che si conoscevano non sembra fossero ideologiche - come invece le dipinge Leonardo, senza alcuna fonte. Il piu' delle volte si tratta di conseguenze di faide. Uno di noi dice che hai toccato il culo a mia sorella, preferisci che ti sbudello io, o vai a farti esplodere di la' e  tua madre riceve una pensione? Il Mullah, cosi' centrale nella narrazione di Leonardo, arriva dopo, quando la decisione e' gia' presa. In breve, Leonardo racconta una storia falsa e chiede ai lettori di identificarsi in una favola ("se voi foste...") spacciandola per vera. Potrebbe fare lo sforzo di provare a identificarsi con un insegnante ebreo che lavora nelle periferie francesi. E un giorno la sicurezza non funziona, e abbiamo Tolosa. Ma come mai Leonardo ci tiene a che i lettori non si identifichino troppo con degli ebrei? 

Andiamo avanti. Non solamente i palestinesi hanno usato gli esplosivi, nella storia dei movimenti di liberazione. Ma, p. es., i nichilisti russi evitavano di colpire i civili. E anche i sionisti nazionalisti, come Shamir, non uccidevano bambini. Eppure i bambini arabi potevano crescere e trasformarsi (sto seguendo il bacato ragionamento tondelliano) in assassini che compiono pogrom, come ad Hebron nel 1929. Insomma, la scelta di usare gli esplosivi non implica necessariamente prendere di mira i bambini. Invece i palestinesi hanno (o avevano) quel genere di stile e di obiettivi. Nella narrazione di  Leonardo, sembrano invece inevitabili, anzi piu' o meno l'unico barlume di speranza che avrebbe una popolazione allo stremo. Tanto allo stremo che in questi anni non ha fatto altro che aumentare. Quella stronza della realta' sembra contraddire proprio tutte le fole su cui Leonardo fonda il proprio discorso. Che sono in realta' opinioni, ma lui le spaccia per fatti. Si chiama malafede.

Ora, da dove deriva questa malafede? Io credo che Leonardo digerisca poco che esista  uno Stato ebraico (per chissa' quali le ragioni) e per questo chiunque vi si oppone gli sembra nobile e giusto. Anzi, tale opposizione, qualsiasi sia la forma che assume, e' sempre una buona cosa. Seguiamo infatti il "discorso piu' ampio" di Leonardo. L'unico modo per risolvere la questione sarebbe "fare uscire i palestinesi dai campi profughi". E Arafat e' cattivo perche' non ci riesce - come e quando ci potrebbero riuscire i Mullah, Leonardo non lo spiega. Pero' ritiene che i palestinesi siano tanto cretini da crederci.  Bisogna quindi fare finire questa "occupazione piu' vecchia di noi": il torto e' molto antico, ed e' la nascita dello Stato di Israele. E soltanto quando gli ebrei torneranno minoranza (nello Stato di Israele!) allora l'ingiustizia sara' sanata. Se questo non si puo' ottenere,  allora non resta scelta che l'esplosivo. Mi sembra un ritratto offensivo dell'intelligenza dei lettori, ma soprattutto di quella dei palestinesi; che infatti non accorrono a schiere a farsi saltare per aria.

C'e' poi il paragrafo  in cui poche centinaia di israeliani vengono equiparati a innumerevoli palestinesi; che e' un modo cretino di riciclare la leggenda del sionismo come perversione dell'animo.  Possiamo entrare in dettaglio su quello che questi eroi sognano per il futuro, che e' uno smantellamento di Israele non cosi' diverso da quello che i terroristi neri si proponevano per l'Italia negli anni Settanta. Non a caso, anche loro amavano gli esplosivi, e non avevano certo problemi a far saltare per aria dei bambini. Possiamo approfondire;  magari un'altra volta.

In conclusione: proprio ieri lo Stato di Israele ha consegnato alle popolazioni terremotate di Carpi, ovvero non molto lontano dalla casa di Leonardo, attrezzature mediche per rimettere a posto un reparto maternita'. Sarebbe carino che Leonardo ne prendesse atto. Ma non lo fa. Io ho una certa idea delle ragioni della sua riluttanza.